Rete unica sul modello di Openreach nel Regno Unito (dove si sono accumulati ritardi su ritardi)? L’approfondimento.


Nella giornata di ieri l’agenzia Reuters ha rilasciato una indiscrezione su quello che potrebbe essere il piano del Governo sulla questione della rete unica, per portare connessioni ultrabroadband in tutto il paese.

L’agenzia cita una fonte a conoscenza del dossier e spiega come l’intenzione del Governo sia quella di creare una rete unica a banda ultralarga che, inizialmente, vedrebbe Telecom Italia come azionista di maggioranza, ma dovrà comunque garantire parità di accesso a tutti gli operatori di mercato.

Insomma, un modello simile a quello di Openreach nel Regno Unito, società controllata da British Telecom e che gestisce gli accessi anche degli operatori concorrenti.

Il modello Openreach è stato però ampiamente criticato in patria, perché l’infrastruttura di rete risulta tutto tranne che performante, con uno studio del 2015 in cui è stato rilevato che il Regno Unito aveva velocità medie inferiori rispetto a molti paesi (Svezia, Norvegia, Paesi Bassi, Svizzera, Finlandia, Danimarca, Repubblica Ceca e Belgio) e superiori solamente all’Italia (non che ci volesse molto), la Germania, la Spagna e la Francia.

Non solo, sono sempre di più i cittadini che lamentano un servizio scadente, i prezzi applicati agli altri operatori decisamente alti e in passato più volte Openreach non è stata in grado di attivare servizi broadband nei termini contrattuali previsti, tanto che nel 2017 British Telecom fu condannata dall’autorità di regolamentazione (OFCOM) proprio per questi ritardi (e il mancato risarcimento previsto in questi casi)  a pagare una multa record di 42 milioni di sterline.

Nello stesso anno OFCOM ha ordinato a BT di separarsi legalmente dalla sua divisione Openreach (chiedendo anche un consiglio di amministrazione indipendente), con gli operatori concorrenti (in particolare Sky e Talk Talk) che lamentavano canoni eccessivamente alti per l’utilizzo dell’infrastruttura e insistevano per una separazione totale delle due società.

Separazione che è avvenuta, ma di fatto Openreach rimane comunque una società sotto il controllo di BT, seppur teoricamente più indipendente.

La fibra nel Regno Unito

E oggi come va? Come ricorda la BBC questa mattina, Openreach è stata accusata di non aver investito abbastanza rapidamente nella fibra e aver mantenuto la sua rete in rame per troppo tempo (un po’ quello che è successo negli ultimi anni con TIM).

Adesso il governo britannico interverrà con un fondo di 5 miliardi di sterline che andranno sia a Openreach che ad altre società che possiedono e sviluppano una infrastruttura in fibra (come Cityfibre o Gigaclear), cercando di accelerare la copertura in tutto il paese.

Dunque, se si vuole prendere da esempio il Regno Unito, bisogna anche tenere in conto che a differenza di quanto avviene in Italia, dove sia TIM che molti politici continuano ad esaltare la rete unica come modello vincente per portare la banda ultralarga in tutto il paese, lì si contano diverse società che gestiscono infrastrutture di rete.

Oltre Openreach c’è ad esempio anche Cityfibre, che copre 8 milioni di locali con la sua fibra “full” (FTTH), paragonabile alla nostra Open Fiber, ma ci sono anche tante altre realtà più piccole o regionali, come Gigaclear (presente in molte zone rurali) o Hyperoptics, che nel 2019 ha visto entrare con una quota di maggioranza il fondo di investimenti KKR (lo stesso che, stando alle ultime indiscrezioni, rileverà circa il 38% di Fibercop di TIM).

La concorrenza, come ha dimostrato la stessa Open Fiber in Italia, fa bene non solo ai portafogli dei consumatori ma anche agli investimenti.

KKR per il 38% di Fibercop

Stando alle indiscrezioni di stampa di oggi (fonte la Repubblica), il fondo di investimento KKR ha offerto 1,8 miliardi di euro a TIM per il 38% di Fibercop (la società che gestisce la rete secondaria di TIM, ovvero quella in rame e fibra che va dall’armadietto in strada fino alle abitazioni).

Anche Fastweb dovrebbe essere della partita, cedendo il suo 20% in Flash Fiber (società nata per portare la fibra in 29 città italiane, con TIM all’80%) e ottenendo in cambio un 4,4% in Fibercop.

Nonostante questi due ingressi, il controllo e la gestione operativa di Fibercop rimarrebbe in mano a TIM.

Il passaggio successivo, secondo quanto riferisce sempre Repubblica, è quello di unire Fibercop a Open Fiber (controllata al 50% da Cassa Depositi e Prestiti e Enel). Proprio Enel, unico dei due azionisti ad essere sempre stato il più forte oppositore della rete unica, sembra che ora abbia cambiato idea.

Il 4 agosto il CDA di TIM si pronuncerà sulla proposta di KKR e i prossimi giorni potrebbero diventare cruciali sul fronte rete unica. Da questo punto di vista sarà dunque un agosto “caldissimo”.


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